Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni della docente Maria Marino
“Una giornata intensa ed insolita, quella di ieri, a Catanzaro: la festa del Patrono San Vitaliano trasformata in un unico grande abbraccio di cuori e di fede da nord a sud della città, un unico territorio con un unico Patrono, un’unica fede, un’unica manifestazione di tanti momenti di preghiera e di accoglienza; applausi come quelli tributati ai falsi miti del nostro tempo, sonori e scroscianti, fatti però con cuore e sentimento profondo, rivolti alle reliquie del Santo Vescovo maltrattato dai suoi concittadini e salvato dalla pietà celeste che lo volle invece in terra straniera.
LA MESSA IN CENTRO CITTA’
Al mattino, officiata da S.E. Mons. Bertolone, la celebrazione della Santa Messa nel centro storico di Catanzaro, nella Basilica dell’Immacolata, che ha visto la partecipazione delle autorità civili, politiche e militari della città capoluogo di regione su invito del Sindaco Sergio Abramo, di numerosi fedeli, nel pieno del rispetto del distanziamento voluto dalla normativa vigente, ai quali si sono uniti alcuni cresimandi che, nel giorno dedicato al Santo Patrono e alla Madonna del Monte del Carmelo, hanno ricevuto il Crisma nel riconfermare il proprio credo e il proprio impegno di fede cattolica cristiana. Soavi e delicati suoni di violino, pianoforte e coro hanno accompagnato la celebrazione, anche con la lettura cantata del Salmo.
Ai lati dell’altare centrale, tra lievi nuvole d’incenso, facevano da corona al Vescovo file di sacerdoti e giovani seminaristi per rendere omaggio al Santo e scambiare il “bacio di pace” con l’Arcivescovo, indossando semplici talari bianchi; il busto argenteo del Santo senza braccia, a lato dell’altare, coronato da stuoli d’orati e da rose gialle e grandi anthurium rossi, intervallati da verdi foglie e bianca “nebbiolina”, sovrastava la moltitudine di fedeli presenti, con il capo rivolto verso l’alto, quasi ad indicare a tutti la via da seguire: quella del guardare oltre, del volare oltre, di guardare all’infinità del cielo con bontà di cuore e sentimento di gratitudine per il dono della vita; lui che alla Vita guardò sempre come ad un dono per cui ringraziare il Cielo, sempre e comunque.
LE PAROLE DI BERTOLONE
Risuonano ancora nel cuore le parole del Vescovo Bertolone che nella sua omelia ha sottolineato l’aggressività sociale che, come la subì il Santo durante la vita terrena, pervade ancora la nostra evoluta civiltà in cui si assiste quotidianamente alla spasmodica ricerca di spazi sempre più ampi, anche tecnologici, di affermazione personale, senza limiti al maltrattamento dell’altro in tante e diversificate forme di eccentrico egoismo personale. Le parole rivolte alla costruzione di un nuovo futuro per la città di Catanzaro, disgregata nelle sue diverse anime, nelle sue diverse problematicità non ancora risolte, nelle sue aree periferiche, emarginate ed emarginanti, dove il reo trova riparo e conforto e il “potenticchio” di turno detta le sue leggi; più che un monito, un auspicio per tutti a “tracciare bilanci…al fine di prefigurare scenari futuri”.
Da quest’auspicio forse l’idea di portare le reliquie del Santo Patrono per le vie della città, di tutta la città, da nord a sud, passando per le comunità parrocchiali, per gli ospedali, l’hub vaccinale e il carcere, e per il quartiere marinaro, per la prima volta, a raccogliere il cuore della gente ed accogliere le speranze di ognuno, in un unico grande cammino di fede, anche di coloro che la statua del Santo non l’avevano mai vista: è nel cuore che nasce il sentimento, nel cuore nasce la speranza, dal cuore nasce la preghiera più vera ed autentica, quella che poi arriva al Cielo e ritorna all’uomo, come la pioggia caduta a Capua per opera del Santo dopo la richiesta di perdono dei suoi assalitori.
UN GIRO EMOZIONANTE
L’emozione dell’inusuale cammino delle Reliquie del Santo tra le parrocchie della città, è stata davvero intensa, ha riportato alla mia mente la visita che il quadro della Madonna di Pompei faceva nel mese di maggio nei palazzi del quartiere Sant’Antonio di Gagliano quando i Padri Cappuccini, in una chiesa ancora in costruzione, raccoglievano il cuore della gente intorno all’immagine Sacra che sarebbe diventata guida spirituale e di fede di un popoloso quartiere ancora in via di espansione; molto prima che certi riti fossero definiti folkloristici e poco adatti ad un percorso di fede.
Io non l’ho mai pensato, anzi, ho sempre pensato che forse sono proprio i più giovani ad aver necessità di gesti concreti e tangibili nella costruzione del loro percorso di fede: il coinvolgerli nelle liturgie, l’affidare loro responsabilità precise nello svolgimento dei riti liturgici e il concretizzare ciò che trascende la realtà, rende loro più facilmente conoscibile e concettualizzabile la fede, che tanto ha di trascendente; forse gli adulti possono fare a meno di certe ritualità, ma i più giovani, a partire da quelli che ancora vivono l’età del pensiero concreto, di piagettiana memoria, necessitano di supporto pratico e concreto nella costruzione del loro pensiero in evoluzione.
RITO AGGREGANTE
Forse è proprio in questi ritualismi che gli adulti, invece, possono ritrovare quel senso di vita aggregante e solidale che la nuova civilizzazione dei popoli tende a cancellare sostituendola coi social e gli strumenti tecnologici; e il distanziamento sociale e psicologico, a cui la pandemia da covid 19 ci ha costretti, può essere superato anche con situazioni, laicamente condivise, di solidale riconoscimento dell’altro, in un esempio di vita, in parole di conforto e di vicinanza, di considerazione e di rispetto; in una nuova visione della vita della nostra città, in cui “nessuno è straniero” e in cui ciascuno è valorizzato e rispettato nei sui bisogni e nelle sue necessità.
La celebrazione di chiusura nel quartiere più difficile della città, all’aperto e distanziati, è stata molto intima e calorosa, nonostante la sua solennità, comunque accogliente nelle gesta e nelle parole del Vescovo Bertolone: “fanno respirare l’aria pesante della reciproca diffidenza…. i falsi Zeus di questo mondo..” ha detto, e come dargli torto? In questo momento di forte crisi economica, certamente il disagio sociale è destinato ad acuirsi, soprattutto in certe sacche di società già deboli, dove la disperazione più facilmente cede il passo all’illegalità, concedendo fiducia ai falsi Zeus o alla diffidenza.
CHIUSURA IN PERIFERIA
Ed è proprio a queste situazioni che la convinzione dei cristiani deve rivolgersi, interrogandosi sul come e sul quando testimoniare la propria fede, a quali “periferie esistenziali” il cattolico oggi deve rivolgere la propria opera quotidiana, testimoniando la propria fede con “gesti concreti” di accompagnamento delle situazioni più difficili; è questo il momento in cui, credenti e non credenti devono unirsi e “camminare insieme….lungo il sentiero che porta ai quattro punti cardinali della città….senza perdere la propria identità…la propria storia e quella della terra che li ha partoriti…per trasformare… l’Utopia in felicità ad ogni passo, anche quello accidentato”.
I numeri e gli indici in percentuali riportati dal Vescovo Bertolone, non hanno lasciato spazio ad interpretazioni fuorvianti dell’impegno post-pandemia che la società oggi richiede a tutti, in ogni ambito d’intervento: il rapporto tra giovani ed anziani, tra stranieri e autoctoni, il tasso di dispersione scolastica nella sola città di Catanzaro, sono dati che richiamano tutti ad una nuova e non più rinviabile responsabilità d’azione, comune e significativa. Non un dictat, ma un sogno realizzabile, nel reciproco rispetto e nella reciproca fiducia nella competenza e nel ruolo di ciascuna delle parti chiamate in causa.
DUE OMELIE, UN UNICO PERCORSO DI FEDE
Temi diversi ma similari tra le due omelie del Vescovo, con un solo contenuto di fondo: la vicinanza alle povertà che la pandemia ha reso più difficili da superare, nel percorso di una Chiesa che si apre al territorio per ricucire una comunità, r-accogliere il cuore di ciascuno e riportare all’unità gli intenti della fede e l’impegno civile di tutti; una Chiesa che invoca la definizione di azioni che non lascino nessuno ai bordi ma valorizzino le diverse identità, riconoscendo ad ognuno un plusvalore nella società cittadina, che necessita di essere riequilibrata nelle sue specificità e nei suoi migliori talenti, perché il tesoro che in essa è racchiuso, non resti più compresso in un fragile “vaso di creta”.
Sapremo i fedeli, e i catanzaresi tutti, trarre gli auspici, da questa nuova ed innovativa Festa del Santo Patrono, per affrontare le nuove sfide che la crisi post -pandemia ci pone?
Chissà…. ai posteri l’ardua sentenza! ”
Maria MARINO – Docente
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