La vicenda trae origine da un decreto di confisca, eseguito in Calabria e Piemonte, avente ad oggetto beni immobili e mobili, aziende e disponibilità finanziarie asseritamente riconducibili a Giorgio Galiano, già condannato per articolo 416-bis c.p. nell’ambito del Processo Perseo.
Il provvedimento genetico, emesso dal Tribunale di Catanzaro – sezione seconda penale – su conforme richiesta del procuratore distrettuale antimafia del capoluogo, era stato da subito avversato dalle difese del proposto e dei terzi interessati, rappresentati rispettivamente dagli avvocati Antonio Larussa, Francesco Gambardella e Francesco Iacopino.
In particolare i difensori avevano allegato circostanze incompatibili con la ricostruzione accusatoria e depositato anche corpose consulenze tecniche tese a dimostrare la lecita provenienza dei beni e delle disponibilità finanziarie e l’erroneo calcolo della sperequazione patrimoniale sostenuta dall’accusa.
E già nelle fasi di merito le deduzioni difensive avevano sortito ampi esiti liberatori, con restituzione di terreni e vari fabbricati, sia in Calabria che in Piemonte. Nondimeno, uno spazio applicativo della confisca, seppure avversato dai difensori, reggeva in primo e in secondo grado. Una doppia conforme che, però, non ha convinto la V Sezione penale della Suprema Corte.
I giudici di legittimità, nonostante gli spazi difensivi in detta fase siano notoriamente ristretti, hanno dato totalmente ragione ai difensori, annullando con rinvio il decreto della Corte territoriale. Tutto da rifare, dunque. Si attende ora l’esito del nuovo giudizio di appello.
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