Morte De Mita, l’aneddoto-omaggio alla memoria di Speziali

Riceviamo e pubblichiamo da Vincenzo Speziali

L’emozione affonda nel cuore, al pari della lama di un pugnale, nell’apprendere la scomparsa di Ciriaco De Mita, già segretario nazionale e presidente della Democrazia Cristiana ed anche Premier e più volte Ministro, oltre che Deputato ed Europarlamentare.
Tutto scivola, nel mio animo triste, al pari delle lacrime sul viso o del sangue da una ferita sul corpo: già, un altro pezzo della mia vita, della mia gioventù e della mia formazione -coerentemente praticata e sinceramente sentita- va via, inesorabilmente.
Seppur da sempre Forlanian-prandiniano (ed in ultimis la mia corrente si innestò ai dorotei di Gava e Scotti) e orgogliosamente pupillo di Arnaldo Forlani e Gianni Prandini, come al pari di molti Leaders dicci, anche con Ciriaco avevo rapporti personali, continuativi e talvolta amabilmente di disaccordo ‘polemico-politico’.

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Nell’apprendere la notizia, ho per prima cosa contattato Maurizio Misasi (da Ciriaco battezzato!) -figlio dell’indimenticabile Riccardo che era il vero motore della corrente demitiana della sinistra di base democristiana- e poi Peppino Gargani, Lillo Mannino, Clemente Mastella, Angelo Danza, Renzo Lusetti (mio predecessore al Giovanile), senza dimenticare Enrico Letta (attuale segretario nazionale del PD e tra i suoi discepoli prediletti, nella nidiata di noi post giovani democristiani), senza che sia venuto meno un sussulto legittimamente emotivo, a fronte di questa perdita, italiana, europea, la quale rappresenta, una bellissima pagina della nostra comune storia formativa e popolare.
Ricordo, adesso, uno dei tanti aneddoti, ovvero quando in compagnia di Amine Gemayel, durante un covegno dell’UDC -nel 2009- eravamo seduti vicini, allorché lui fece, proprio ad Amine, la considerazione che il Partito erede della DC, in quel momento vedesse come leader (era Casini, per l’appunto) uno da considerarsi figlio suo, politicamente parlando, così come tutti quelli che erano lì presenti.

Io mi intromisi immediatamente, ricordandogli, che ero stato e continuavo ad essere figlio di Arnaldo (e Pier, in verità, sorrise di gusto), in quanto non ero aduso a ‘disconoscimento di paternità’.
Ciriaco rispose di getto -mentre mia moglie faceva la traduzione- dicendomi, con un misto di ironia e falso fastidio, quanto io fossi il solito insolente, dalla pronta battuta arrogante e il sottoscritto, senza scomporsi, testualmente controbatte: “Ciri`, detto da te, che sei maestro in quest’arte… è un complimento”!
Lui fissa meglio occhi, guarda mia moglie e poi Amine, quando si rivolge a me, con la chiosa finale e perentoria (con tanto di accento demitiano): “Appundo”!

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Ecco, si riassume così, in un baluginio fioco, uno dei tanti ricordi, così come la mia fortuna di essere stato allevato alla grande da grandi, per di più anche bene.
Caro Ciriaco, un ultimo pensiero e dal profondo del cuore: per noi democristiani, la nave va e ad andare continuerà, poiché al porto approderà!
In ogni modo, anche pensando a te.
Con orgoglio, con affetto.

 

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