Franco Barberio, il gigante buono della diversità, non c’è più

di Franco Cimino

La più brutta notizia è arrivata, come il primo colpo di cannone nella guerra. Come un tuono nel silenzio, un fulmine nel cielo nero della notte. Franco Barberio se n’è andato. Stamattina. Di domenica. La prima che attendevamo, dopo tutto questo lungo inusuale freddo, quell’annuncio della Primavera che ancora non viene. Ieri, sabato, la prima vera giornata di sole ci faceva sperare senza più sguardi alle previsioni meteo. Mentre scrivo non si sente nell’aria alcun rumore, né di passi affrettati, né di rombi di motori. Neppure fruscio di vento, quando leggero quello buono della nostra primavera soffia.

Anche a imitare il suono che lui emette tra i rami degli alberi di cui la Città è quasi spoglia. Dorme Catanzaro, la tanto amata Città di Franco. Non si sveglia ancora. Per abitudine, pigrizia, stanchezza non riposata. Per noia di non saper cosa fare nelle giornate di ferma. Dorme per non sentire il dispiacere di se stessa non ribelle, ancora sospesa tra rassegnazione e sfiducia inattiva. Dorme per non sentire il rumore che fa la cattiveria umana anche quando muove da lontano.

Non sente ancora quel tuono, quel colpo di cannone. E quel fulmine accecante non vede. Franco ha messo il suo cuore per attutirne il rumore. Non voleva disturbarla, la sua Catanzaro. Non voleva che clamore suscitasse la sua notizia più grave. Come fece il giorno in cui, pochi anni fa, il cielo si spezzò nell’apprendere della sua malattia. Non sappiamo, nessuno che non fossero i suoi familiari più stretti lo sa, come Franco abbia reagito nell’immediatezza della comunicazione medica. Nessuno, che non siano i suoi cari rimastogli accanto fino all’ultimo, come egli abbia risposto alla ultimissima chiamata. Possiamo però immaginarlo. In silenzio, con dignità e coraggio. Con forza vera. Quella combattiva contro il male. Quella serena per il passaggio finale.

Franco se n’è andato allo stesso modo in cui ha vissuto. Allo stesso modo in cui ha appreso che la sua camminata verso la felicità, accanto ai suoi amori più grandi, i figli in particolare, sarebbe stata faticosa, dolorosa e di assai difficile lunghezza. In silenzio. Con discrezione. Con dignità. Come ha fatto nelle altre durissime fasi della sua vita di ragazzo dinanzi al quale si stava rompendo un mondo di sogni realizzabili e di grandi progetti compiuti. Senza piangersi addosso, senza le misere contorsioni su una pietà utilizzale, si è armato di intelligenza, di coraggio, di volontà, e anche di “ felicità” promessa, e si è messo in cammino. Un cammino sempre nuovo, come se a ogni disperazione, cambiando percorso, finalmente un giorno potesse trovare quello giusto.

Purtroppo, per lui non è stato così. Dolore e gioia, perdite immani e conquiste, fatica infinita e brevi riposi, disperazione grande e speranza, lotta per l’oggi e sogno, si mescolavano. E camminavano insieme, accanto a lui sempre uguale. Bello come il sole, con quegli occhi grandi e celesti a dare colore al cielo quando si oscurava. E al mare quando su di esso si posavano. Sereno come l’alba, quando con quel suo sorriso ti carezzava. Pulito, come la sua bocca quando parlava o baciava, l’amico e chiunque lui incontrasse. Per consuetudine, per lavoro. Per la sua accesa passione, la Politica. Quella che me l’ha fatto incontrare un giorno dell’aprile di sedici anni anni fa esatti. Un giorno in cui questo giovane bellissimo mi incantò d’ogni sua bellezza, insieme spontaneamente promettendoci amicizia. Amicizia, che rimase intatta, anche quando le nostre strade “ politiche” si separarono.

O quando quella sua ferma concezione dell’amicizia grandissima per il primo amico, che mai abbandonò e mai smise di amare dell’amore vero, avrebbe potuto disturbare la nostra. L’amore vero di Franco parlava una sola lingua, la fedeltà e la lealtà. La fedeltà, non servile accondiscendenza, la lealtà mai prona e passiva. Franco era Franco, e tutto di lui era pari alla sua altezza fisica gigantesca, che proprio per le sue qualità umane appariva ancora più alta. Da guardarlo tutti dal basso verso l’alto, quasi che questo tuo cercare i suoi occhi ti incutesse la conciliante “ soggezione” del Cielo.

E ti sollecitasse a essere più buono. Franco era un ragazzo buono. E intelligente. Educato fino al vertice di quel senso di civiltà che hanno pochi. Con un grande senso dell’onore e del rispetto della persona. A iniziare dalla sua stessa. Tutto questo faceva sì, nell’Amicizia professata e praticata, che la sua fedeltà non fosse mai acritica, la sua lealtà mai compromissoria o passiva. Onesto fino al midollo, la sua attività, professionale, personale e pubblica, era sempre improntata al rispetto e al servizio del bene comune. Fosse quello della Città. Ovvero, il bene degli altri, le persone che avevano bisogno di lui. Sincero, mai temevi che la sua parola fosse ingannevole. A volte, alla domanda dietro la quale vi era il dovere della riservatezza, quando non poteva dire, ti sorrideva in quel modo ironico, che pure apparteneva al suo carattere, che ti faceva ben capire ciò di cui tu avevi bisogno.

La sua educazione e lealtà la espresse anche nel campo minato di quel Consiglio Comunale, al quale entrambi partenemmo in quella legislatura conseguente a una stranissima consultazione elettorale che ci trovò sorprendentemente sconfitti. Franco aveva un senso di lealtà così forte da estenderlo nel rispetto rigoroso delle istituzioni. Sempre puntuale e presente alle riunioni del Consiglio. Con me e pochi altri, il primo ad arrivare in aula, l’ultimo ad uscirne. Sempre composto e rispettoso anche degli avversari. Mai una intemperanza, un’aggressione verbale, un insulto verso colleghi e avversari.

Mai un atto di plateale ostilità verso il sindaco e la sua giunta. Sempre educato e rispettoso, fermo al suo posto, quello in basso proprio sotto il mio, anche quando alcune sedute venivano particolarmente accese dai “ guerrieri” dello scontro duro ad ogni costo. Per lui, sempre e comunque, veniva l’interesse per Catanzaro, la città che ha amato profondamente e che ha servito con autentico spirito politico. Il suo rispetto per l’aula, lo rappresentava anche presentandosi sempre ben vestito, con giacca e cravatta di rara eleganza. Ma qui senza sforzo alcuno, in verità. L’eleganza di Franco era una sorta di stato di nascita o di divisa per la bellezza. La sua eleganza, infatti, era anche di stile. Comportamentale. Non era insomma un optional.

Era parte di lui. Come parte di lui era l’umiltà. Con essa si faceva “ manovale” del servizio pubblico. Con essa riconosceva le proprie qualità e i propri limiti. Di più, riconosceva la grandezza degli altri. L’intelligenza e la moralità degli altri. E le rispettava. Anche in quanti stavano da un’altra parte rispetto alla sua. Dico semplicemente così, come massimo della sua “belligeranza contro”, perché Franco non concepiva l’altro come un nemico. Neppure come un avversario. Era soltanto una persona che stava dall’altra parte, e non per questo necessariamente da quella sbagliata. Riconosceva in tutti la buona volontà e la buona intenzione. Importante era lavorare, insieme o ciascuno nel suo spazio, per Catanzaro.

La malattia e la menomazione che per essa ha subito, non gli ha spento l’Amore per la Città e la passione per la Politica. Li visse in questi ultimi anni adottando con maggiore determinazione le battaglie per migliorare le condizioni di vita per i disabili e tutte le persone che, a causa della propria condizione fisica o esistenziale, subiscono ogni forma di disadattamento e di emarginazione “ sociale”. Sue sono state le battaglie, purtroppo inascoltate, per rimuovere gli ostacoli oggettivi, anche architettonici, che allargano la forbice delle diseguaglianze. Non era, la sua, una battaglia “ settoriale” , una di quelle “ categorializzabili” sulla quale attrarre la carità pelosa di un potere che, girate le spalle, continua a farsi i fattacci suoi.

Era una battaglia più alta. Quella per realizzare la Giustizia e l’eguaglianza in una Città che divenisse finalmente giusta. Libera. Democratica. Per la sordità delle istituzioni, e nostra, di cittadini spesso sordi e muti quando non siamo toccati da vicino, Franco compì l’atto di protesta più doloroso. Lasciò la sua bella abitazione nel centro di Catanzaro, dove gli ostacoli alla libera circolazione di tutti i cittadini sono davvero insormontabili, direi quasi umilianti, per abitare in una più semplice in un vicino paese sul mare. Qui, Franco ha trascorso l’ultimo breve suo tempo terreno.

Colpevole io, come i tantissimi altri che lo abbiamo “ abbandonato”, non sappiamo della sua bellezza nell’ultimo tratto. Mi piace immaginarlo con quel sorriso buono indulgente e accogliente, quella parola generosa e “ perdonante”, il suo sguardo profondo che da noi si sia innalzato al Cielo, già pregustando la magnificenza degli incontri che ha atteso da sempre. Con i suoi amati perduti anzitempo. E con il Dio dei buoni, che i buoni nelle Sue braccia accoglie. Qui resta una Città che gli deve molto e che con lui perde una delle sue più preziose risorse. E una stilla di bellezza, che le mancherà come quella stella al Cielo.

Franco Cimino

 

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