di Luigi Stanizzi *
Il gigante, il mostro sacro del documentario italiano, il dinosauro indomito del cinema non è racchiuso tutto lì – seppure imponente anche nell’aspetto fisico – in quella camicia a quadri scozzesi, nella sala dell’Odeon, davanti a nove (!) persone di pubblico, rimaste a fine proiezione per l’incontro col regista. Dalle sue parole, quasi bisbigliate, carezzate per farle uscire bene da gesti sobri della mano destra semichiusa, si spalancano orizzonti sconfinati di vita, sociologia, costume, di riti, significati talora inesplorati.
Fra le file di poltroncine di pelle rossa, con le lenti degli occhiali spesse come fondi di bottiglia, risponde placido ma attento alle domande del cronista. Gli chiedo: <<Maestro, avete qualche sceneggiatura nel cassetto? Qualche nuovo film in cantiere?>>
Vittorio De Seta scuote la testa, con mezzo sorriso malinconico, e risponde: <<No. No>>. Con pudore, un certo candore adolescenziale nonostante la sua veneranda età, con sincerità salvo smentite perché spesso anche la verità è provvisoria, legata al momento. Parla come se tutto per lui fosse già stato compiuto. E si guarda intorno, come a disagio, un po’ impacciato, spaesato; appare incerto quando si concede al pubblico.
Ma poi riprende il filo e la sua narrazione ritorna a toccare, a stuzzicare elementi chiusi ermeticamente nelle nostre vite. A serata conclusa, all’uscita, ai Giardini di san Leonardo, qualcuno a conferma della sua dichiarazione, sussurra con discrezione che il Maestro non può più far nulla per il cinema per via di <<seri problemi alla vista>>, oltre <<all’età>>.
E si sbaglia.
A Catanzaro pochissimi conoscono Vittorio De Seta. La città è distratta o senza memoria. A Sellia Marina, “a lu Higu”, al Feudo De Seta dove risiede lo ritengono per lo più un benestante, il Marchese proprietario terriero ritornato dopo tanti anni. Il grande regista viene scoperto dal pubblico soltanto grazie all’opera meritoria, perseverante, del promotore culturale Eugenio Attanasio, suo discepolo, legato a lui da inesprimibile affetto.
Con la cooperativa Nuova Ipotesi prima e la Cineteca della Calabria poi, attraverso innumerevoli proiezioni di film, documentari, dibattiti, convegni, incontri ravvicinati, articoli, De Seta viene fatto conoscere al pubblico locale. Lui sempre schivo, defilato, non protagonista per vocazione. In un’iniziativa patrocinata alla Provincia di Catanzaro, dall’allora presidente del Parco Nazionale della Sila, il compianto dott. Antonio Garcea, in collaborazione con il comandante del Corpo Forestale dello Stato Ing. Nicola Cucci, il regista De Seta incanta l’uditorio.
Dalle sue parole traspare l’incanto, il mistero ma anche l’asperità della Sila che Vittorio porta nel cuore e nella mente fin da fanciullo. Del resto alla Torre della Marchesa (sua madre), fra Buturo e Tirivolo, dove si vedono i due mari, continua ad andare sempre con l’intento di potere sbloccare gli intoppi burocratici e avviare iniziative turistiche sui terreni di famiglia. Senza riuscirci.
A fine convegno, irremovibile come una roccia, forte come una quercia, testardo come un calabrese, non vuole sentire ragioni o consigli: vuole partire da solo all’imbrunire alla guida della sua vecchia auto nonostante il tempo da lupi, lo sciopero dei benzinai e la stanchezza accumulata. Carica due bidoni di gasolio sui sedili posteriori e via… nella notte, verso la Costiera Amalfitana dove lo attendono amici, e poi verso la Capitale.
Passano alcuni anni e sulla “Gazzetta del Sud”, primo giornale al mondo che diffonde la notizia, annuncio a sorpresa che Vittorio De Seta avrebbe diretto un nuovo film: “Lettere dal Sahara”. Un lavoro profetico sull’immigrazione, sostenuto dal Ministero dello Spettacolo. Molti catanzaresi hanno così l’occasione, il privilegio, di ascoltarlo, porgli domande dopo la proiezione in prima mondiale al cineteatro Comunale di Catanzaro dell’indimenticato Franco Proto.
Ma, spenti i riflettori, De Seta torna alla sua vita agreste occupandosi di ulivi, terra, natura più congeniali alle sue contemplazioni, testimoni muti delle sue ansie e immancabili ossessioni. Preferisce frantoiani, contadini, potatori e pastori agli infingimenti degli acculturati di provincia, ma restando sempre fermi i suoi contatti nazionali e internazionali ai massimi livelli, seppure rarefatti per sua scelta. Martin Scorsese – mentre tanti calabresi non lo conoscono o colpevolmente lo dimenticano – lo ricorda a tutti come il suo maestro; molto tempo prima Pierpaolo Pasolini lo aveva difeso dai critici ufficiali che gli remavano contro.
Per ritirare il Premio Mar Jonio, Vittorio De Seta dalla vicina Sellia Marina arriva con la sua macchina a Cropani Alta dove incontra lo storico Augusto Placanica al quale viene consegnato lo stesso riconoscimento. Un incontro fra titani, all’epoca un po’ trascurati o snobbati dal capoluogo della Calabria. Ancora deve nascere il circolo “Augusto Placanica”.
Lo storico si lamenta che la sua “Storia della Calabria” pubblicata da Einaudi è stata presentata in tante città importanti d’Italia ma non a Catanzaro, la sua patria. Lo rassicuro, a Cropani, che avremmo provveduto a colmare la lacuna con il Sindacato Libero Scrittori Italiani, ma purtroppo morirà dopo qualche mese. Mentre Placanica critico dice di essere rimasto deluso dalla sua città, De Seta gli fa “eco” con cenni del capo.
Del comitato d’onore del Premio Mar Jonio fanno parte l’arcivescovo metropolita emerito di Catanzaro-Squillace mons. Antonio Cantisani; l’ordinario di filosofia del diritto della Normale di Pisa prof. Domenico Corradini Broussard; il vice caporedattore Rai dott. Pasqualino Pandullo; il principe Fulco Ruffo di Calabria.
Quando chiamo pubblicamente sul palco <<il regista, il Marchese Vittorio De Seta>>, lui prima di avvicinarsi sbotta irritato bisbigliando ad Eugenio Attanasio: <<Io sono un comunista, marxista, e questo mi chiama marchese… mmah!>>
Celebrato come regista non è mai stato preso nella dovuta considerazione come scrittore. Eppure la sua capacità di scrittura è asciutta, ricca, forbita. Racconta la vita, le emozioni, a livelli profondi, inesplorati. Nessuno finora ha pensato di raccogliere tutti i suoi scritti, editi ed inediti, e pubblicarli, un’opera omnia cosa che – a mio parere – andrebbe fatta con urgenza. A beneficio dei lettori più raffinati. L’operazione non avrebbe a che fare solo con il cinema ma, soprattutto, con la letteratura, ai livelli più alti. Eccelsi i sui scritti, sceneggiature, biografie, il progetto Vangelo, il suo pensiero su Gianni Amelio suo aiuto regista nelle riprese “Un uomo a metà”, le lettere come quella a Ludovico Alessandrini.
Chi lo ha conosciuto non lo dimentica. Apparentemente burbero, al primo impatto di lui emergeva comunque l’umanità, la schiettezza, il suo essere diretto, con parole soppesate. Talvolta stravagante. Il custode del cimitero di Sersale, Luciano Greco, racconta che una sera, al tramonto, Vittorio De Seta appare con una cassetta di zinco sotto un braccio e gli chiede di aprire il loculo comunale numero 188 del fratello Emanuele De Seta, che era morto da poco, per deporre i resti mortali della moglie.
Il custode risponde che senza autorizzazione non può farlo. De Seta rintuzza: <<Allora la metto nella nostra cappella>>, e lascia la cassetta di ossario sul tavolo della cappella De Seta dove riposano, a destra, la madre Maria Elia de Seta Pignatelli di Cerchiara, conosciuta come la marchesa De Seta, nata a Firenze il 24 marzo 1894 e morta il 10 marzo 1968 in un incidente stradale al bivio della Strada dei Due Mari tra Nicastro e Catanzaro; e a sinistra il fratello marchese Francesco de Seta (1918-1943) Tenente pilota da caccia morto nel fuoco che divorò l’aereo.
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Alla marchesa Pignatelli, Mussolini scrisse il seguente telegramma di cordoglio: <<Lasciate che io partecipi al vostro fiero dolore per la morte del vostro Francesco, morte eroica come quella di tutti i volatori che la sfidano, sino al giorno in cui li afferra. alt I piloti non muoiono, cadono e saranno perennemente onorati e ricordati>. Invece, da decenni piove sia sulla tomba del tenente che della madre: la cappella De Seta ha il tetto scoperchiato ed è nel totale degrado, un posto lugubre dove sembra ambientato un film dell’orrore. Anche le targhette di metallo con i nomi sulle due tombe sono deteriorate, illeggibili. Una vergogna inaccettabile.
Intanto il custode, stimolato dal dott. Roberto Colao presente all’intervista, continua il suo racconto precisando che dopo un po’ di tempo si accorge che quella cassetta non c’era più, evidentemente Vittorio De Seta era andato a riprendersela.
Oggi la moglie, Vera Gherardini, riposa nel cimitero di Sellia Marina nello stesso loculo del grande maestro Vittorio De Seta (n. 15/10/1923 m. 28/11/2011), fra gente comune. Sulla lapide le loro fotografie in bianco e nero, guardano il sole a oriente. Sotto, due crisantemi di plastica arancione e una rosa rossa appassita.
Questa la tomba di Vittorio de Seta, di cui lo stesso Scorsese appresa la notizia della sua morte, scrisse: <<De Seta è uno dei grandi, trascurati registi tra i più grandi italiani, e il suo lavoro meriterebbe di essere molto più conosciuto di quanto non sia>>. Definisce le sue opere <<meraviglie del cinema>>. E chiude: <<Vittorio De Seta fu veramente un grandioso, dinamico artista, e io piango la sua scomparsa>>.
Operiamo tutti insieme perché non venga trascurato anche da morto, lo merita lui, lo meritano le sue opere nelle quali ci riflettiamo.
*giornalista
L’APPUNTAMENTO
Domani mercoledì 26 Ottobre, alle ore 17,30, a Catanzaro, al Complesso Monumentale San Giovanni, aula Gissing, su iniziativa dell’ Università Magna Grecia, lo storico Eugenio Attanasio presenterà il libro “Vittorio De Seta – Lettere dal Sud”
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